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Piante Erbacee

Piante Erbacee


Gruppo 2.1. Cereali (Triticum)

La cerealicoltura, pur risentendo dell’attuale grave crisi economica, rappresenta ancora un settore trainante per l’agricoltura siciliana. La riscoperta di antichi genotipi di cereali tradizionalmente diffuse in Sicilia fino al secondo dopoguerra e conservati fino ai nostri giorni (soprattutto frumento duro), può costituire una importante occasione per il rilancio della filiera. La Sicilia, infatti, può essere considerata un vero e proprio scrigno di diversità genetica cerealicola dalla quale è anche possibile attingere caratteri preziosi per la ridefinizione di ideotipi idonei per modelli colturali sostenibili, caratterizzati da tratti qualitativi ritenuti di estremo interesse. 

Il modello colturale finora utilizzato ha favorito la contrazione del patrimonio genetico locale, determinandone una progressiva erosione inter e intraspecifica. Le vecchie popolazioni locali e varietà di frumento sono state sostituite nel tempo da cultivar migliorate. Per questo motivo è necessario preservare il germoplasma ancora reperibile, non dimenticando che le attuali varietà di grano duro (Triticum durum Desf.) derivino in buona parte da selezioni a partire da grani siciliani. L’individuazione e la salvaguardia dei genotipi autoctoni costituisce un momento chiave per il rinnovamento della cerealicoltura siciliana muovendo principalmente da tre presupposti:

- le mutate esigenze nutrizionali-dietetiche dei consumatori e la loro maggiore sensibilità sui temi della salubrità, genuinità e tipicità delle produzioni agricole;

- la progressiva conversione dell’attuale modello di agricoltura ad elevati input energetici verso quello sostenibile;

- la necessità di disporre di materie prime di qualità per l’industria di trasformazione.

A tali esigenze si può rispondere attraverso due vie che implicano entrambe la disponibilità e la tutela del germoplasma autoctono. La prima consiste nella riproposizione dei genotipi locali tal quali, la seconda nel predisporre programmi di miglioramento genetico, utilizzando le metodologie più innovative della biologia molecolare. Le vecchie varietà di frumento duro (Cappelli, Margherito, Russello, Capeiti 8, ecc.) testimoniano il ruolo che la selezione da popolazioni locali ha giocato per l’affermazione della specie attraverso il miglioramento genetico tradizionale. Tuttavia, se è vero che le mutevoli esigenze agronomiche e tecnologiche impongono un continuo rinnovamento varietale, agli occhi dei ricercatori e dell’opinione pubblica, sempre più sensibile ai temi dell’ecosviluppo, anche il sistema cerealicolo deve prevedere ricadute positive per tutti gli attori della filiera: cerealicoltori, trasformatori, consumatori.

La reintroduzione nei comprensori cerealicoli siciliani di varietà tradizionali e popolazioni locali di frumento può rappresentare un’opzione valida per il recupero di territori destinati altrimenti all'abbandono, attribuendo agli agricoltori il ruolo di veri e propri “custodi”di questo patrimonio genetico, oltre che dell’ambiente, mentre potrebbe fungere da volano anche per altre attività a valle legate alla trasformazione artigianale, al turismo gastronomico, per attività culturali e ricreazionali che puntano alla riscoperta di antiche tradizioni locali. In altri termini, in un’ottica di razionalizzazione e ridefinizione della filiera cerealicola, la perdita di redditività dovuta alla bassa potenzialità produttiva di questi genotipi potrebbe essere ripagata dal valore aggiunto recuperato da un’adeguata promozione della tipicità dei prodotti.

Tra gli antichi genotipi siciliani di frumento duro, si possono segnalare come emblematici i casi d Russello e Timilia. Il primo, ancora coltivato nell’areale ibleo, sostiene la preparazione del pane di pasta dura ragusano, il secondo, è indispensabile nella produzione del pane nero di Castelvetrano. Ne consegue l’esigenza di continuare ad attuare misure specifiche in grado di contrastare l’impoverimento del patrimonio genetico cerealicolo siciliano, in coerenza con quanto finora realizzato. Nell'ambito di questo progetto è stata implementata l’attività di recupero di vecchie varietà e popolazioni siciliane di frumento duro, tenero, turgido e di farro.


Gruppo 2.2. Leguminose

A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, in Sicilia, come nel resto d’Italia, la superficie coltivata a leguminose da granella secca ha subito una progressiva regressione a causa della riduzione della loro importanza nella dieta a favore di modelli alimentari dettati dalla necessità di velocizzare e semplificare la preparazione dei pasti (fast food). Contestualmente è cresciuto il consumo di carne come fonte principale dell'apporto proteico nella dieta. Inoltre, la Politica Agricola Comunitaria attraverso l’erogazione di contributi economici e il sostegno dei prezzi, ha favorito la coltivazione di specie cerealicole e di grano duro in particolare a scapito dell'avvicendamento che vedeva le leguminose al centro del sistema colturale a garanzia del mantenimento della fertilità del suolo . La riduzione delle superfici investite a leguminose non ha tuttavia fatto venir meno l’interesse da parte della ricerca verso queste specie. La Sezione di Scienze Agronomiche del Di3A dispone di una collezione di 125 genotipi di fava (Vicia faba L.) appartenenti alle tre varietà botaniche major, equina e minor, dei quali ben 81 frutto di un lavoro di reperimento in diverse località della Sicilia centro-orientale, iniziato circa un trentennio fa.

La Sezione di Scienze Agronomiche del Di3A dispone di una ricca collezione di 96 genotipi di fava (Vicia faba L.) appartenenti alle tre varietà botaniche, minor, equina e major, frutto di un lavoro di reperimento in diverse località della Sicilia centro-orientale, iniziato circa un trentennio fa. Alle accessioni di fava si sono aggiunte quelle cece (Cicer arietinum L.), fagiolo (Phaseolus vulgaris L.), lenticchia (Lens culinaris Medik.) e cicerchia (Lathyrus sativus L.). Oggi la collezione di varietà locali di queste specie conservata e valorizzata grazie a questo progetto, conta 129 accessioni.

La caratterizzazione bioagronomica di questi tipi ha consentito di accertare un’ampia variabilità per colore e peso unitario dei semi, oltre che per precocità di fioritura e di maturazione nelle popolazioni provenienti dalle provincie della Sicilia centrale (EN e CL); nelle altre province è stata riscontrata una più elevata uniformità per colore dei semi (chiaro), per peso assoluto dei semi (>100 g/100 semi) e per caratteristiche della superficie del baccello (tomentoso). Alcune varietà locali per produzioni tipiche come la ‘Fava larga di Leonforte’ e la ‘Cottoia di Modica’ sono state oggetto di specifica caratterizzazione qualitativa e valutazione bio-agronomica.


Gruppo 2.3.1. Foraggere annuali

Le leguminose autoriseminanti, specie annuali terofite riconducibili ai generi Medicago, Trifolium, Scorpiurus, Lotus, Astragalus, Biserrula e altri, costituiscono gli elementi tipici della flora dei 'riposi pascolativi' dell'Altopiano ibleo. In questi ambienti, la presenza di queste specie è considerata a rischio, soprattutto negli areali agricoli caratterizzati da un’eccessiva specializzazione colturale e a seguito dell'introduzione del diserbo chimico. Nei riposi pascolativi dell’altopiano ibleo, le leguminose autoriseminanti determinano le caratteristiche di qualità necessarie a garantire la tipicità dei prodotti lattiero-caseari sottoposti a disciplinare di produzione (Ragusano DOP) che impone un'alimentazione delle bovine basata prevalentemente su essenze spontanee ed erbai dell’altopiano Ibleo, eventualmente affienati" (Punto 5 del disciplinare del Formaggio a Denominazione di Origine Protetta RAGUSANO). Il mantenimento di questa ricca flora spontanea è subordinata ad una gestone agronomica più oculata, dove l'alternanza della coltura lavorata (frumento duro, erbai) si alterni al riposo inerbito (suolo non lavorato).

Oltre all’utilizzo foraggero, queste specie trovano impiego nella costituzione di miscugli per la copertura del suolo (cover crops) ed il contrasto all'erosione.

Questo prezioso germoplasma autoctono è stato oggetto, in passato, di campagne di raccolta da parte di ricercatori provenienti da altri paesi mediterranei, Australia in particolare, per essere proficuamente inserito in programmi di breeding e poi valorizzato costituendo e brevettando varietà commerciali, sottraendo in tal modo risorse native e valore aggiunto al sistema agricolo siciliano.


Gruppo 2.3.2 Foraggere polienni

Il valore agronomico e ambientale delle graminacee foraggere perenni negli ambienti caldo-aridi, come quello siciliano, dipende dalla loro capacità di resistere all'aridità estiva. Questa persistenza, caratteristica strettamente correlata con l'abilità a sopravvivere alla sequenza delle estati aride. 

Dactilys glomerata L. (Erba mazzolina), è una graminacea perenne presente nella flora siciliana pressoché in tutti i contesti ambientali con le sspp. glomerata L. e hispanica (Roth) Nyman, sufficientemente distinte sotto l’aspetto morfo-fisiologico, ma interfertili. È pianta vivace, di taglia alta (60-140 cm), dotata di sistema radicale profondo e persistente, provvista di cespi robusti e compatti, con una longevità compresa tra i 5 e gli 8 anni e un’elevata produttività. La strategia fondamentale di persistenza delle popolazioni mediterranee di Dactilys glomerata risiede nella dormienza estiva (Summer Dormancy), la sola che consenta, in quanto meccanismo di “stress avoidance”, la sopravvivenza nei lunghi periodi di siccità.

Sia pure nel contesto generale del clima caldo-arido, la Sicilia offre, per la sua posizione geografica e configurazione orografica, una notevole varietà di ambienti ecologici tra loro differenziati per temperatura e suo decorso, piovosità e relativa distribuzione, nei quali tuttavia la suddetta specie è sempre presente, con una variabilità di forme di adattamento che fanno intravedere la possibilità di  individuare tipi semi-dormienti, che meglio coniugano resistenza all'aridità, longevità e produttività.

Il rischio di erosione genetica degli ecotipi di Dactylis glomerata L. presente nel territorio siciliano è legato principalmente all'aggressione al territorio e alla sua biodiversità, determinata dalla riduzione degli spazi naturali e soprattutto al rischio che i cambiamenti climatici impoveriscano tale variabilità.